Sunday, October 29, 2006

Primo Episodio: Hikaru




A volte, quando la sua mente si mordeva la coda in ricordi senza fine nè inizio, si illudeva che era stato facile abituarsi all'orrore.
A volte si chiedeva, con una freddezza quasi scientifica, quanto orrore potesse subire un essere umano prima di non considerarlo più tale. Ed erano le volte in cui le sembrava quasi possibile soffocare un urlo nel sentirli passare, coi loro passi pesanti, di pietra. Con le loro facce deformi, scolpite male, intagliate nella roccia con gli stessi volti di statuette funerarie. Facce che dalla sua cella vedeva raramente, ma che nella sua memoria erano ancora lì, ad affiorare ogni volta che chiudeva gli occhi.

I soldati Haniwa.

Il loro nuovo padrone l'aveva fatta salire nella sala di controllo della mostruosa nave madre in cui era stata tenuta prigioniera per giorni. L'aveva guardata attraverso quel suo casco che gli copriva la faccia, il casco che non aveva mai voluto portare, prima. Attraverso quel suo elmo annerito, ne aveva sentito il respiro profondo, in qualche modo amplificato, e la voce che sembrava uscire a sua volta dalle viscere della terra. Attraverso gli schermi, invece, i suoi occhi non si staccavano dalle file di quei mostruosi miliziani di pietra, che avanzano incuranti tra le Croci di Ferro di Blocken, tagliandole a pezzi con spade dalla lama grezza e tozza.
"Hikaru"
Lei lo aveva guardato a lungo, Daisuke Umon, l'uomo che era cresciuto come un fratello a casa sua. L'uomo che aveva amato senza poter fare nulla per impedirlo. Allora, considerava quello un orrore. Qualcosa per cui sentirsi in colpa, finché non era diventato qualcosa per cui sarebbe valso la pena perfino affrontare quel buio.
Erano i tempi in cui, se si fosse fermata a guardargli il volto, non avrebbe visto una placca di ferro scuro ma un innervosirsi di occhi o - al contrario - un distendersi di labbra che si scioglievano in un sorriso impacciato. Come se a sorridere non fosse troppo abituato, o almeno a farlo troppo apertamente.

- Ogni volta sembra che ti fai carico di tutti i problemi del mondo.

"Come mi giudichi, Hikaru?"
Lei aveva sentito quella voce appannata e - sì - aliena, aliena senza appello.
"Ha importanza, adesso, per te?"
Non aveva risposto nulla. Non l'aveva nemmeno guardata. Negli schermi, i soldati Haniwa tagliavano le Croci di Ferro a pezzi, in un delirio di corpi maciullati.
"Guarda, Hikaru. Possiamo usarli per far finire la guerra. Per mettere a posto le cose"
Lei si era messa a ridere, ridere così forte e così tanto da trovarsi a ragliare note rauche. Daisuke l'aveva guardata come se non riuscisse a capire se stesse piangendo o ridendo davvero e, a lei, andava benissimo così. Anche uno dei mostri che era con lui l'aveva fissata, quello con il volto fatto interamente di pietra e una corona di stalagmiti a fargli da aureola.
Lei lo odiava particolarmente, perchè era stato il primo dell'Impero Jamatai a farsi vivo con l'Armata Mazinger.
Ogni tanto, quando le tornava di qualche conforto trovare un rapporto di causa-effetto in tutta questa storia, incolpare quel mostro era la soluzione più a buon mercato, la migliore che le impedisse di pensare.

A quel volto tenuto prigioniero dall'elmo.
A quel respiro pesante.
E al tono di quella voce, il tono di chi è consapevole che ciò che è perso è perso.

Era stata riportata nella sua cella. Scortata, più che portata, la Principessa delle Segrete.

Adesso, che la porta della cella si apre ancora, non si volta nemmeno a guardare chi è. E' troppo concentrata sul rumore delle gocce di umidità che si infrangono sulla pietra e pungono il silenzio. Da quant'è lì? Una settimana? Due? E' strano come tutte le prospettive cambino, in assenza di luce.
"Il Principe vuole assicurarsi delle tue condizioni"
Solo allora Hikaru alza lo sguardo verso l'alto, non facendo nulla per affievolire la luce febbricitante che le brilla tra gli occhi.
All'inizio, si accorge di star parlando con un elmo dalle fattezze di drago, tenuto stretto da due mani troppo pallide. Poi alza gli occhi un po' di più, e a quelle mani associa un volto di donna. Non certo un brutto volto, malgrado i capelli - di un'innaturale tinta verde scuro - facciano sembrare la sua pelle più bianca di quanto già non sia.
Ha un'espressione tagliente. Per certi versi, il suo volto, seppur di carne e ossa, sembra scolpito nella pietra molto più di quelli che ha visto finora, in questo inferno per pochi intimi.
"Puoi dire al Principe che sto bene", sibila Hikaru, cercando di tenere ferma la voce, per quanto è possibile. "Meglio di quanto stia lui in questo momento"


Un piccolo sorriso guizza sulle labbra della soldatessa. "Credi di sapere come stia?"
Le labbra di Hikaru si schiudono in un sibilo quasi elettrico. Le morde e soffoca qualunque cosa stesse per dire abbassando semplicemente la testa.
"Esegui i tuoi ordini e sta' zitta". Hikaru sente le gambe che le tremano, mentre gli occhi della sua avversaria si assottigliano, riducendosi a due fessure strette e velenose.

"Stai attenta. Un giorno il Principe si stancherà di proteggerti. E tu ti pentirai, di questo e di molto altro"

E' solo quando la porta si chiude, che Hikaru si lascia crollare contro la parete della cella.
Lo so, come sta adesso. Lo so anche meglio di te.
Il primo brivido scuote il suo corpo, con violenza.
Lo so davvero?
E finalmente, inizia a piangere a dirotto.

Saturday, October 28, 2006

prova